Pare avere un cuore esattamente diviso a metà, Gian Angelo Bellati, ricolmo da una parte del suo smisurato amore per Venezia, e dall’altra della fierezza che prova d’essere parte dell’Europa.
Un cittadino a metà veneziano e per metà europeo. Che delle buone abitudini del continente ha fatto il suo credo, a cominciare dal concetto che più a nord si ha nei confronti del semplice cittadino. Che, lungi da quel che accade da noi, è il centro, e non il suddito del sistema.
Pare siano queste le ragioni più profonde che l’hanno spinto a candidarsi. Il desiderio, o forse l’idea pazza degna di un visionario, di rendere più efficiente la nostra città, a cominciare dalle sue istituzioni. Comune per primo, al cui vertice ha deciso di candidarsi a capo di una coalizione che con lui parrebbe stonare. Sospettata di non poter condividere appieno il suo innato moderatismo. E invece appare proprio a suo agio, pur non risparmiandole, nel dialogo, osservazioni, distinguo e sottolineature. Ricercando e trovando un giusto equilibrio, basato su ragionamento, competenza e buone maniere.
Nel mentre parla, risponde alle domande anche più scivolose con classe e senza infingimenti. Si vede che ci deve aver a lungo ragionato, su quelle domande, e sui passi che l’hanno portato a candidarsi.
E’ pure elegante, ora nel suo abito con cravatta, e pure, giura chi l’ha visto, in tenuta da barca, pantaloni e maglietta bianchi.
E senza tradire alcuna emozione o sorpresa, ragiona pacatamente anche su di sé, quasi osservandosi dall’esterno, spingendosi a parlare di alleanze e prospettive. Alleanze che il suo realismo gli rendono assolutamente praticabili. Come quella con Brugnaro, dopo il primo turno. O come quella con Salvini, di cui parla sottolineando la grande generosità, e la disponibilità umana. Magari sorvolando su altri aspetti che parrebbero stridere, come quel suo antieuropeismo, che sembrerebbe fare a pugni almeno con una delle due parti in cui si divide il cuore di Bellati. E invece niente, anche lì raggiunge la ricomposizione, la sintesi che sta alla base della sua fiducia, in quello che fa e in quello che dalla sua bocca sembra promanare con accenti competenti, alla fin fine rassicuranti.
E il pubblico che pur potrebbe a certe sollecitazioni lasciarsi andare a fratture, a schieramenti contrapposti, lo segue docilmente nel ragionamento, come seguisse il pifferaio della favola. Incantato forse, o disposto a farsi incantare.
Ed ecco che la Lega di Salvini esprime rabbia e dice cose senza ipocrisie, anche se i toni, spesso, lasciano a desiderare.
Ecco il turismo mordi e fuggi (che deve pagare), e l’idea di ricorrere a una legge europea consentita dal Trattato di Lisbona che potrebbe aprire la strada a nuove risorse.
Ecco il ridimensionamento degli stipendi dei dirigenti del Comune e delle partecipate, che consentirebbe grandi risparmi, migliorandone la produttività.
Gli si chiede che senso abbia fare un referendum sulla separazione tra Venezia e Mestre dato che la città metropolitana potrebbe portare a ridisegnare tutta l’area. E ancora una volta emerge una delle costanti di Gian Angelo, forse quella che deve sentire più sua e che spiega un po’ tutto il personaggio. “Il rispetto dei novemila cittadini che hanno firmato, risponde. Non sarebbe per nulla corretto negargli una risposta.”
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