Il titolo è ovviamente una provocazione,
così come ragionevolmente è stata solo una provocazione la “sparata” del sindaco Brugnaro che, appena un paio di settimane fa, ventilando l’alienazione della Judith II Salomè di Klimt e del Rabbino di Vitebsk di Chagall per coprire i buchi di bilancio lasciati da venti e passa anni di malgoverno delle giunte di centrosinistra, aveva fatto arruffare le penne dei benpensanti lagunari e non.
Il ministro Franceschini ne ha intuito subito lo spirito e così tanti altri per fortuna, speriamo che la boutade sortisca qualche effetto concreto, non tanto per la sorte dei dipinti in questione ma per la città le cui finanze versano in condizioni disastrose.
E’ comunque ragionevole chiedersi se l’idea di vendere delle opere d’arte per finanziare ad esempio asili, welfare, servizi essenziali sia poi così peregrina.
Certo, una volta venduti sono persi per sempre, così come le decine di palazzi, gioielli di famiglia, che i precedenti sindaci in salsa PD hanno venduto, svenduto o peggio tentato di vendere senza riuscirci, per poi comunque lasciare voragini di bilancio in cui rischiano di precipitare non tanto loro come artefici del disastro ma i cittadini delle fasce più deboli.
Alienare un bene pubblico dovrebbe essere sempre l’ultima ratio a meno che l’alienazione non consenta di recuperare delle risorse che possano essere investite per creare ricchezza ulteriore e non solo per pagare debiti, buchi di bilancio o interessi e derivati.
Sull’argomento ho letto parecchio, dai post allarmati di molti cittadini fino alle dotte disquisizioni degli esperti, il tutto condito dalla consueta partigianeria italica. Ho letto però molti NO (spesso alimentati più dalla partigianeria politica che da un serio ragionamento), qualche sì e parecchi “dipende” ma quasi nessuna alternativa.
E allora proviamo ad immaginare una alternativa a partire da questa “provocazione”.
Una città come Venezia e le innumerevoli e spesso inestimabili opere dell’ingegno umano che essa contiene non hanno solo un valore di vendita ma anche un valore di immagine.
Ne è un esempio il Ponte di Rialto che sta subendo un necessario restauro ad opera di Renzo Rosso della Diesel che sborserà 5 Milioni di euro in lavori in cambio di visibilità in città e della possibilità di utilizzare Venezia e la sua immagine per comunicare il suo brand Diesel.
A fine operazione Rosso avrà aumentato il valore del suo brand e Venezia avrà assicurato alle future generazioni un capitale immenso, una soluzione win-win, senza dover vendere nulla … altro che !
Poco importa se Rosso alla stampa dice che lo ha fatto per un obbligo morale, sta di fatto che nell’accordo c’è una controparte importante in spazi pubblicitari e visibilità la cui valorizzazione giustifica l’investimento. Solo di vaporetti brandizzati Rosso riceverà in cambio un valore pari a circa 1 milione di euro senza contare tutto il resto.
Insomma, va bene l’obbligo morale ma Rosso è un imprenditore oculato e i suoi conti li ha fatti, e bene, speriamo che li abbia fatti anche il Comune di Venezia.
Va chiarito comunque che il fatto che Rosso sicuramente non ci rimetta da questa operazione non è assolutamente un demerito, anzi la dimostrazione che Venezia ha un valore importante per un brand globale.
Ma quale può essere il valore di immagine di una città come Venezia?
Dipende!
Nelle mani del management locale forse anche zero o molto poco.
In tanti anni Venezia è riuscita a partorire:
– un marchio (quello di Thibaut Mathieu, sotto la direzione artistica di Philippe Starck per intendersi) che è stato un aborto, non solo dal punto di vista estetico (soggettivo per carità) ma soprattuto punto di vista dell’inesistente piano di city-marketing che avrebbe dovuto sottendere alla creazione di un brand cittadino
– una società, la Venezia Marketing & Eventi che di fatto si è rivelata un fallimento strategico di proporzioni comiche (non cosmiche, non è un errore di battitura), partita con gran fanfara alla fine si è trovata ne più ne meno che a gestire spazi pubblicitari o pubblici.
Nelle mani di un management con obiettivi globali invece il valore di un insieme di valori (scusate la ripetizione) unico come la città di Venezia ed il suo contenuto in termini artistici e culturali potrebbe essere immenso e soprattutto rinnovabile di anno in anno a differenza delle alienazioni che una volta messe in atto non fanno più reddito.
Vi faccio un po’ di esempi:
prendiamo un pugile come Mayweather, un boxeur, bravo per carità, ma pur sempre un tizio che prende e tira cazzotti per vivere (e bene) … ecco lui ha preso 16 milioni di dollari di sponsorizzazioni per un solo incontro del titolo.
Un calciatore di buon livello, diciamo un nazionale delle top 10, guadagna tra i 3 e i 5 milioni di euro di sponsorizzazioni all’anno.
Un tennista come Federer su 67 Milioni di euro di incassi ne fa 58 dagli sponsor, in un anno.
Ovviamente non sono gestiti da dei dipendenti pubblici, magari anche bravi, o dal Presidente o Direttore di una partecipata nominato dal Sindaco di turno per i motivi più vari e spesso al netto delle competenze, ma da agenzie specializzate che gestiscono budget complessivi da miliardi di euro e con clienti pronti ad investire a fronte di progetti di comunicazione credibili, gestiti da persone specializzate.
Per darvi un parametro una azienda come la Apple investe oltre 1 miliardo e mezzo di dollari all’anno di comunicazione, la Samsung spende 14 miliardi di dollari all’anno e su queste cifre si muovono più o meno tutte le grandi multinazionali dei prodotti di largo consumo.
Un luogo come Venezia nelle mani di una grande agenzia internazionale potrebbe fruttare al comune centinaia di milioni di euro … all’anno. Ovviamente questo comporterebbe l’ospitare eventi brandizzati, pubblicità negli spazi di comunicazione … tutte cose che si fanno già ma per pochi spiccioli rispetto all’enorme potenziale inespresso.
Insieme a New York e Parigi, per motivi diversi, siamo una delle pochissime città al mondo che potrebbe rappresentare per un azienda globale un motivo valido per investire.
Però magari a qualcuno non piace l’idea di una città “sponsorizzata” (anche se i nostri monumenti sono già costellati di pubblicità spesso completamente avulse dal contesto e che si ripresentano uguali identiche sui 6×3 vicino alle stazioni o sui palazzoni anonimi degli hinterland) e allora si potrebbe pensare di mettere giù un dream team dei nostri gioielli di famiglia, delle centinaia di opere d’arte che spesso non sappiamo nemmeno di possedere come cittadini ( a proposito a quando una bella catalogazione completa e in formato open data di tutto il patrimonio di opere d’arte del Comune di venezia ? ). E questo dream team potrebbe girare il mondo, portare in giro il nome di Venezia come città scrigno di tesori, contribuire alla costruzione di una immagine di Venezia come città di cultura e non solo come tourist-trap e soprattutto, sempre nelle mani di professionisti di valore globale, raccogliere importanti risorse nel corso di questa tournée .
Insomma, col capitale enorme di opere d’ingegno che abbiamo a Venezia se non con la città intera si potrebbe costruire una intera economia senza dover vendere nemmeno una crosta e senza pagare lauti stipendi per strutture di marketing in-house ed in-efficienti, per fare questo però bisogna rendersi conto che non si può scaricare questo compito titanico su risorse umane che non hanno le necessarie competenze e contatti ma bisogna affidarsi al meglio che il mercato offra nel settore così come un artista o sportivo di calibro globale fa quando sceglie il suo management.
I nostri avi hanno immobilizzato secoli di storia e successi militari e commerciali in un capitale immenso di opere di ingegno umano, un capitale che ancora oggi con il turismo che genera dà da mangiare a gran parte dei cittadini ed a moltissime aziende e persone in tutto il mondo, un capitale che esprime un valore però solo tramite spostamenti logistici di masse di persone che attrae in loco contribuendo così ad aumentare il problema dell’invasione turistica.
L’immagine della città, se ben gestita, invece è un capitale che può generare valore a livello globale e non solo locale ed il tutto senza hardware, senza investire un euro, ma solo affidandosi al mercato, senza avventurarsi in operazioni dilettantesche.
Facciamo in modo che il brand Venezia diventi il nostro petrolio da esportare in tutto il mondo.
Articolo pubblicato originariamente su LuminosiGiorni.it a firma di Emanuele Dal Carlo
Chagall, City Marketing, Comunicazione, Immagine, Klimt, Luigi Brugnaro