Un anno fa la città si stava preparando all’avvento del governo Brugnaro dopo decenni di centri-sinistri di varia composizione.
I paragoni con Berlusconi a noi sembravano calzanti, ma non con l’accezione negativa che nella semplificazione da social network andava emergendo cercando di screditarne il profilo. Brugnaro, così come il Cavaliere nel 1994, regalava agli abbacchiati elettori veneziani una visione nuova della città: più dinamica, più attenta al mondo produttivo, più sensibile verso i venetians in senso esteso (da qui il tormentone delle ”grandi città”) e con quel piglio da sceriffo che prefigurava sgominate le varie bande che scorrazzano di qua e di là dal ponte: abusivi, spacciatori, venditori di taroccherie varie e ”bruta gente”.
I numeri in giunta permettevano a Brugnaro di spostare la terraferma in laguna e viceversa, e già dopo pochi giorni code chilometriche di questuanti bi-partisan lo vedevano incoronare de facto nuovo Doge della Serenissima.
Dopo un anno di governo è quindi doveroso tracciare un bilancio, pur sapendo che ne mancano ancora (o solo) quattro per rivedere in alto o in basso quanto finora percepito.
Camminando per le calli della città storica o per le vie della terraferma si fatica ancora a percepire il cambiamento di rotta che sembrava arrivare nei primi mesi di giunta, e l’onda di entusiasmo si è infranta su un granitico ed impermeabile modus operandi della giunta al governo della città.
Il celebre hashtag #ghepodemofar per noi di Reset è diventato #ghepodariafar, in quanto a nostro avviso il rischio concreto è che questa giunta diventi la giunta delle occasioni mancate.
Mai come in questo caso infatti, oltre che sui numeri la giunta può contare su una compattezza d’altri tempi, ma le Scelte con la S maiuscola tardano ad arrivare, e quel sindaco che si immergeva nel quotidiano da Pellestrina a Malcontenta ora sembra arroccato in una giunta unipersonale a responsabilità illimitata che paralizza e delegittima anche coloro che sono stati da lui scelti per governare i vari processi in atto nella città oltre al baloccarsi in incursioni estemporanee su temi nazionali che distraggono dall’emergenza tutta locale fatta di cose ben più pragmatiche e pressanti.
Brugnaro ha vinto perchè era il sindaco che rompeva gli schemi e che si proponeva come colui che ”fa le cose”. Lo ritroviamo a riproporre il franchising politico Fucsia nell’hinterland come se la sua straripante umanità (con tutti i risvolti che ne derivano) fosse intercambiabile con dei figuranti.
Il Berlusconi del ’94 si sta lentamente trasformando in un Renzi del 2016.
Ci auguriamo sia solo questione di tempo, la città non può aspettare oltre, e un ritorno al passato sarebbe una pericolosa retromarcia.
Gigio, #tigheapolancorafar. Vedi ti.