Michele Bugliesi è uno dei più giovani candidati al ruolo di rettore che si siano mai presentati a Ca’Foscari. Alle elezioni di fine Maggio correrà come outsider perchè, seppure molto conosciuto e stimato all’interno dell’Ateneo, non gode certo di relazioni con i cosiddetti poteri forti. Per questo mi/ci piace la sua sfida e vogliamo sentire il suo parere in merito a una città da rinnovare profondamente, anche nell’Università più prestigiosa. Dunque 10 domande 10 per tastargli il polso, in stile RESET!

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1) Città vecchia, molto vecchia. Città ferma, quasi anestetizzata. Lo diciamo noi di RESET Venezia. Ma voi, dentro l’università come la vedete la vostra città?

Venezia è una risorsa preziosa per la nostra università, la rende attrattiva in modo pressoché automatico, ci porta studenti e ricercatori da tutto il mondo, entusiasti di poter fare una esperienza di studio e di lavoro in un luogo speciale come questo.  Venezia custodisce un patrimonio artistico e culturale che ne fa un laboratorio naturale di ricerca e formazione, nei campi più svariati, è il centro di un fermento e di una vivacità culturale a cui i nostri ricercatori e i nostri studenti hanno accesso pieno ed esteso e a cui contribuiscono in modo attivo e creativo.

E’ vero, Venezia è anche una città che fatica a trovare un percorso moderno di sviluppo sociale ed economico, e rispetto a questo penso che possiamo e dobbiamo contribuire a creare una dimensione nuova di crescita, fondata su una partecipazione più attiva al dibattito sui grandi temi e su un coinvolgimento più assiduo dei nostri studenti e dei nostri docenti nei processi economici e sociali. Personalmente credo molto nel ruolo la componente studentesca può giocare nella crescita della città, contribuendo attivamente al suo sviluppo anche demografico (la popolazione studentesca di Ca’Foscari e IUAV conta circa 30.000 studenti, ormai più di metà del numero di residenti) ma soprattutto culturale, economico e sociale. Questo processo deve necessariamente passare attraverso la capacità dell’intera comunità accademica di stimolare e promuovere l’innovazione, e guidare i percorsi di sperimentazione direttamente in città, insieme alle istituzioni, agli enti ed alle associazioni con il coinvolgimento attivo di studenti e ricercatori.

2) Dunque candidato rettore. Uno dei candidati più giovani che si siano mai presentati. Possiamo dire che questo è un buon segno? Incoscienza, presunzione, passione o semplicemente ambizione?

E’ certamente un buon segno. E’ il segno di una università che è cambiata e nella quale candidarsi per la carica di Rettore non significa candidarsi a gestire il potere ma voler contribuire allo sviluppo dell’istituzione e della missione culturale e sociale che l’Università  deve saper interpretare, con competenza, creatività e trasparenza.  Da parte mia, c’è  l’entusiasmo di poter contribuire a promuovere la mia  visione dell’università come luogo di creazione di conoscenza, in cui  l’originalità della ricerca promuove il progresso scientifico e trasferisce i risultati in una formazione moderna, di qualità, in grado di appassionare i ragazzi e di fornire loro gli strumenti culturali per interpretare con successo la propria vita sociale e professionale. C’è la consapevolezza  delle difficoltà di dover operare  in un contesto di crescente competitività (e, purtroppo, di finanziamenti sempre più ridotti), ma al tempo stesso la fiducia nelle grandi capacità dei nostri docenti e dei colleghi del personale tecnico amministrativo: valorizzate per quanto meritano, queste capacità potranno farci raggiungere gli obiettivi che ci poniamo. C’è una forte motivazione a voler ripristinare per tutti condizioni serene di lavoro, fondate su una conduzione partecipata,  trasparente e sostenibile dell’Ateneo, pronta a riconoscere il merito ma attenta anche a non fare del merito un elemento di antagonismo e competizione costante. C’è la conoscenza dei meccanismi, e un progetto concreto per sostenere il percorso di sviluppo e di crescita del nostro Ateneo.

3) Il programma in se è di buon senso e sposa nuove modalità emergenti come il coinvolgimento, l’ascolto, insomma per farla breve la partecipazione. Come può essere partecipativo un Ateneo? E cosa può ricevere dalla partecipazione?

Beh, il programma dice molto di più della semplice partecipazione: parla di quali sono i nostri punti di forza, delle varie azioni da mettere in atto per sostenere la ricerca, per razionalizzare l’organizzazione della didattica e dare contenuti moderni e servizi efficienti agli studenti, parla di come muoversi sul piano internazionale e della raccolta dei finanziamenti, di come rapportarsi al territorio per favorirne lo sviluppo e agire sul fronte del trasferimento di conoscenza e competenze, … e di molto altro. Certo, dopo questi anni di una gestione molto decisa è necessario una discontinuità chiara nella gestione, che promuova l’ascolto,  riveda i meccanismo decisionali rendendoli partecipati e sia più rispettosa delle istanze delle diverse componenti dell’ateneo e delle specificità delle aree disciplinari.

Come si ottiene la partecipazione? In realtà, la partecipazione costituisce un elemento fondante dell’architettura di un Ateneo. I processi della didattica e della ricerca si svolgono nei Dipartimenti, che sintetizzano decisioni collegiali del corpo docente e non docente. Nel modello di governo precedente alla Legge 240 (a.k.a Legge Gelmini), le delibere dei Dipartimenti e delle Facoltà rifluivano ai Senati Accademici dove si trasformavano in decisioni. Nel “modello Gelmini” questa architettura si è modificata assumendo un assetto che attribuisce al C.d.A.  (che non è elettivo) le decisioni. Non penso che il nuovo  modello sia incompatibile con la partecipazione.  Trovo anzi del tutto ragionevole la presenza di un organo che definisca le linee guida: un Rettore si candida su un programma e viene eletto per realizzare quel programma,  seguendo le strategie che si devono assumere condivise perché votate.  La partecipazione è fondamentale però  nelle scelte di implementazione delle strategie, per le quali le strutture dell’Ateneo devono avere margini di decisione perché hanno le conoscenze necessarie per decidere in modo consapevole.  Ovviamente è un meccanismo che deve essere equilibrato per garantire una coerenza complessiva, ma questo è possibile utilizzando opportunamente vincoli di programmazione e meccanismi premiali: parlo più diffusamente di tutti questi meccanismi in questo post sul mio blog elettorale.

Ci sono poi gli aspetti che attengono all’organizzazione e alla gestione amministrativa, che negli anni hanno assunto una complessità ed una centralità molto maggiore che in passato, coinvolgendo il personale non docente in molti processi di natura anche progettuale per la didattica e la ricerca. Qui la partecipazione si ottiene riconoscendo il valore del lavoro  del personale tecnico amministrativo, acquisendo i pareri tecnici in tutte le fasi dei processi, offendo concreta disponibilità alle richieste di formazione, di riconoscimento economico, di crescita professionale e di progressione di carriera, rispettando i diritti ed i tempi delle persone.

Cosa  si può ricevere dalla partecipazione? Due elementi che credo siano fondamentali: in primo luogo  la serenità e il benessere nel lavoro, e insieme a queste la motivazione che deriva dall’essere attivamente coinvolti e quindi dalla consapevolezza di poter concretamente mettere a frutto la propria esperienza e professionalità. In secondo luogo, dalla qualità del lavoro discende la qualità dei risultati che ci potranno garantire di saper competere e di essere sempre all’altezza del nostro ruolo.

4) L’Università dovrebbe riflettere i bisogni del territorio in cui opera, dunque anche Ca’ Foscari dovrebbe un po’ cambiare se il territorio cambia. La città metropolitana è li a portata di mano. Come la mettiamo dunque con il confronto inevitabile con Padova?

La città metropolitana è davvero una realtà dietro l’angolo, e noi ci stiamo attrezzando. Non sono sicuro di capire se parli del confronto con l’università di Padova o con la città di Padova. Provo a dare una risposta che inquadra forse entrambe le realtà. A Ca’ Foscari i modelli di città metropolitana si studiano da decenni ormai, inizialmente sotto la guida del gruppo dei nostri geografi. Oggi, la città metropolitana rappresenta un ambito di ricerca interdisciplinare a cui la nostra università può rispondere in modo perfetto, mettendo a fattore comune le competenze nelle aree della sostenibilità ambientale e sociale, delle tecnologie per la riqualificazione ambientale e dei modelli di innovazione amministrativa e sociale.

Detto questo, è anche evidente che la nostra capacità di incidere sui processi e sulle politiche di sviluppo della città metropolitana sarebbe più incisiva se trovassimo una forma di collaborazione più organica con IUAV e  le competenze in campo urbanistico e di gestione del territorio che IUAV può offrire.  La creazione di un rapporto privilegiato con IUAV è un elemento importante della mia proposta per la candidatura al rettorato di Ca’ Foscari. Dopo anni di sperimentazione, e di rapporti poco più che episodici, sono  maturi ormai, ed urgenti,  i tempi per  avviare un concreto processo di collaborazione che prenda spunto dai molti elementi di complementarietà tra i due atenei e si sviluppi lungo una varietà ampia di ambiti nella formazione e nella ricerca. E’  facile citare alcuni esempi: dalla conservazione e restauro di beni storico-architettonici, allo studio delle risorse archeologiche condividendo le competenze delle scienze dell’antichità e delle scienze dei materiali;  alle ricerche di nuovi materiali in diversi settori, da quelli dell’ingegneria civile per l’efficienza energetica, ai tessuti, allo sport; ai modelli  e le tecnologie innovative per le già citate questioni relative allo sviluppo delle città metropolitane, alle tecnologie ICT per  la valorizzazione dei beni culturali.

Insieme a IUAV, e ai molti altri enti e istituti di ricerca che confluiscono nel Distretto Veneziano della Ricerca, potremo aggregare competenze in centri interuniversitari su temi di carattere multidisciplinare e interdisciplinare quali quelli citati in precedenza , creando poli di eccellenza per la ricerca e l’innovazione, in grado di guidare le iniziative di progettazione per lo sviluppo del  territorio e di intercettare i  finanziamenti comunitari e regionali destinate a sostegno di queste iniziative dal nuovo programma quadro (europeo e regionale).

5) Noi di RESET Venezia crediamo nel modernismo e nelle nuove tecnologie. Tu nel tuo programma sostieni ‘Il nostro Ateneo ha seguito solo in parte una tendenza che negli anni ha visto crescere il protagonismo della ricerca nei processi di innovazione e di trasferimento tecnologico’. Dunque, la ricetta per tornare a competere in questo campo?

Quello che intendo è che in questi anni il nostro Ateneo ha operato con una intensità significativa sul piano del trasferimento di competenze e conoscenza attraverso una progettualità marcata sulla formazione nei Master Universitari. All’inverso,  non abbiamo avuto una linea chiara e convinta riguardo al trasferimento tecnologico, in una fase in cui invece molti atenei hanno investito significativamente in questa direzione (vedi ad esempio, le attività dell’associazione NETVAL). In parte, questo atteggiamento è attribuibile  alla natura degli ambiti disciplinari che caratterizzano il nostro Ateneo nei quali prevalgono le discipline umanistiche, tradizionalmente meno coinvolte nelle attività di innovazione tecnologica. D’altra parte, credo quest’area meriti molta più attenzione di quanta ne abbia ricevuta in passato e che dunque sia necessario avere una strategia chiara di investimento. Fondo il mio ragionamento su un insieme di elementi.

Innanzitutto credo dobbiamo considerare superata la concezione a cui accennavo in precedenza, per cui l’innovazione tecnologica coinvolge solo una parte delle discipline. Se guardiamo agli ambiti moderni dell’innovazione, le aree di intervento sono molto ampie e passano attraverso percorsi che includono l’innovazione sociale, la valorizzazione dei beni culturali, la mediazione culturale, il management, i metodi della pubblica amministrazione e molto altro. Ho citato alcuni esempi, a dimostrazione che tutte le nostre aree possono essere coinvolte nei processi, ed in effetti esistono già esempi concreti di successo (vedi il coinvolgimento delle competenze in ambito ambientale, sociale, economico, informatico e  linguistico negli spinoff che Ca’ Foscari ha promosso negli ultimi anni, e analogamente la le iniziative  avviate con successo nella mediazione culturale presso gli enti museali della città).

Continuare con più convinzione e con un programma più organico su questa via è importante, non solo per contribuire allo sviluppo del territorio, ma anche  per ampliare il contorno delle opportunità occupazionali dei nostri studenti e dei nostri giovani ricercatori. Dobbiamo infatti realisticamente considerare che solo in minima parte saremo in grado di assorbirli nel sistema universitario.

E’ importante sottolineare infine che si vanno ad oggi creando condizioni più favorevoli che in passato per il successo di un investimento in questa direzione. Penso in questo caso al nostro territorio ed in particolare di Venezia e dell’area metropolitana che include Treviso e Padova.

A Venezia,  i progetti in atto presso l’area di Porto Marghera aprono una fase di grande potenziale per lo sviluppo imprenditoriale, e per progetti di innovazione tecnologica, in particolare nell’ambito della riqualificazione ambientale, della gestione dei rifiuti, dei biocarburanti, delle bio-nano tecnologie e della chimica fine. I nostri dipartimenti di area scientifica hanno enorme potenziale di intervento su queste tematiche, e la nostra azione deve necessariamente essere pronta ed efficace. Nell’area metropolitana, l’attenzione alle tematiche delle cosiddette Smart Cities, e delle tecnologie a servizio dell’innovazione sociale sono di grande attualità e costituiscono un driver fondamentale per intercettare i finanziamenti comunitari da utilizzare come moltiplicatori di un investimento a cui anche i privati dovranno necessariamente partecipare in modo più attivo che in passato.

6) Fondi per la ricerca, fondi strutturali, fondi statali. Riuscirai a portare a Ca’ Foscari l’attenzione delle istituzioni centrali che governano fondi? In primis il MIUR, ma anche la Regione che fa da tramite con l’Europa. Che ricetta intendi adottare per catalizzare questa attenzione?

Su tutti questi fronti è necessario agire in rete. Lo abbiamo fatto  poco in questi anni, sotto la spinta di uno spirito esageratamente  competitivo che ci ha visti solo raramente (if ever) operare in modo coordinato. A livello nazionale, il nostro Ateneo deve ritrovare un dialogo all’interno della CRUI e farsi parte proattiva nel promuovere una azione forte e coordinata a sostegno del sistema universitario e del suo finanziamento: in questi anni abbiamo fatto poco o nulla in questa direzione. A livello regionale dobbiamo “deporre le armi” della competizione tra gli Atenei del Veneto e capire che è in Europa che dovremo competere. Localmente dobbiamo unire le forze e dialogare con la Regione e le istituzioni come un interlocutore unico a sostegno dei progetti di innovazione. Dobbiamo riuscire a guidare le scelte di investimento dei fondi strutturali verso progetti strategici che evitino la dispersione del finanziamento in un insieme polverizzato di interventi, per dirigersi invece su iniziative di impatto ampio e visibile, su cui poi costruire la progettazione con cui intercettare i finanziamenti europei.  Ci sono tutte le condizioni per fare bene, le opportunità sono concrete: non possiamo permetterci di non coglierle.

7) Ricevuti (speriamo) i fondi. quali sono le aree di ricerca dove specializzarsi? Ovvero dove iper-specializzarsi per competere e distinguersi come eccellenza?

Ci sono due elementi da considerare per definire le strategie. Da un lato dobbiamo guardare agli ambiti sui quali convergono i finanziamenti. Dall’altro dobbiamo riferirci  alle risorse di cui disponiamo e valorizzarle, stimolando la creatività dei ricercatori eccellenti da un lato e promuovendo le aggregazioni di competenze dall’altro.  Le politiche comunitarie investono su entrambi questi ambiti: sulla Exccellence Science centrata sulla ricerca di base ad alto impatto, ed insieme sui Societal Challenges, mirati a stimolare ricerca in diverse aree interdisciplinari. In questi anni abbiamo sperimentato in modo significativo sulla ricerca interdisciplinare e multidisciplinare, e siamo in condizione di investire su alcuni ambiti specifici. Ne cito alcuni a solo titolo di esempio: le digital humanities, la sostenibilità ambientale, locale e globale a fronte dei cambiamenti climatici, le politiche e relazioni internazionali, l’imprenditorialità legata allo studio delle lingue e delle culture, la valorizzazione dei beni culturali, i modelli sociali per la prevenzione e l’invecchiamento, le tecniche di information technology per la pubblica amministrazione e l’impresa.

8) Ed ora il tuo rapporto con la città. Noi non siamo teneri. Se hai letto il manifesto di RESET Venezia sai che siamo contro i poteri forti che governano (male) questa città. Tu con quest’ultimi come ti rapporterai? Sei pronto a sfidarli per mettere anche l’Università al centro del cambiamento?

Io ho sempre pensato che l’Università debba avere un ruolo più attivo in questa città,  contribuendo ad alimentare un dibattito più articolato e più informato sui grandi temi del turismo, dei modelli di uno sviluppo sostenibile sul piano demografico, sociale, economico e ambientale. L’università può e deve esprimersi con più convinzione su questi  temi, può e deve portare il proprio contributo di idee, di proposte, di soluzioni tecniche così come di orientamento culturale. Ma il ruolo dell’Università non è quello del decisore: l’Università può e deve farsi parte attiva sia nell’informare i processi di innovazione, sia nel contribuire a guidarli, ma spetta alla politica locale avviare e sostenere concretamente quei processi.

9) Università e settore produttivo. Vista la tipicità del settore produttivo locale (considerata anche l’area estesa metropolitana) che rapporti vuoi instaurare con chi, vista la crisi economica corrente, vuol comunque provare ad investire in questo territorio?

Ritorno sul punto di una delle risposte precedenti, per reiterare la mia convinzione che dobbiamo essere parte attiva in una azione sistemica, che coinvolga Regione e enti locali,  Università e impresa privata. Gli enti finanziatori (la Regione in primo luogo) deve investire in progetti di impatto, le Università devono assumere il ruolo di guida tecnico scientifica, i comuni essere pronti alla sperimentazione: in questo quadro l’impresa deve avere il coraggio di investire con più convinzione. Alcuni segnali interessanti si iniziano a vedere. L’esperienza del bando Smart Cities ha dimostrato che l’impresa privata è pronta ad investire nel momento in cui il coinvolgimento della Regione e degli enti pubblici è concreto, perché rappresenta una possibilità concreta di ritorno dall’investimento. Questa credo sia il percorso giusto, ed è attraverso questo percorso che potremo poi fare leva sulle sperimentazioni locali per moltiplicare le opportunità di accesso ai finanziamenti, in un circolo virtuoso che può dare grandi risultati.

10) Usciamo un po’ dal seminato. Amante della voga veneta, vero? Dunque ‘mens sana in corpore sano’ e il grande tema Università e sport che, diversamente da quanto accade all’estero, non riesce a creare sinergie e occasioni con il mondo dello sport professionistico.

E’ un tema difficile a Venezia, un città dove le strutture per lo sporto sono davvero poche, per lo meno in centro storico.  Non credo in effetti che raggiungeremo mai, in Italia, i livelli che vediamo all’estero, ma qualche passo dovremo farlo. In questi anni abbiamo investito molto nella voga, con risultati apprezzabili. Credo che dovremmo estendere l’ambito di azione ad altri sport intensificando i rapporti con gli enti e le associazioni sportive per negoziare spazi e tempi di utilizzo per le strutture ed offrire ai nostri studenti uno spettro di possibilità sostanzialmente più ricco di quello attualmente disponibile

Bugliesi, Rettore

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Abito il web dai tempi della frontiera e credo sia il luogo ideale dove sviluppare relazioni e business. Mi intriga molto il suo risvolto sociale e le dinamiche partecipative. Professionalmente mi occupo di Government2Business. Nei ritagli, insegno, scrivo libri, svolgo consulenze e gestisco comunità.

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